Cos’è la Storia, e che senso ha parlarne oggi, in cui siamo tutti presi dal vivere il presente e proiettati continuamente verso il futuro? Che senso ha perdere il proprio tempo (in particolare quello scolastico) per studiare cose avvenute secoli fa e continuare a parlare di persone morte delle quali, spesso, non sappiamo neanche che volto avessero o dove sono sepolte?
La Storia infatti oggigiorno è vista, mi si permetta l’ossimoro, come una famosa sconosciuta, ovvero tutti ne parlano ma nessuno sa di cosa si parla: chi non potrebbe parlare per almeno un’ora dell’Inquisizione senza mai aver letto un solo documento sull’argomento? Non avete mai sentito discussioni e trasmissioni sulle Crociate dove non si nomina nemmeno un papa o un condottiero? Ma, contemporaneamente, avete mai sentito un elogio sulla storia o sugli storici? Chi studia queste cose non viene visto come una specie di reperto archeologico? Generalizzando, infatti, possiamo dire senza ombra di dubbio che si parla di storia e di argomenti storici senza sapere di cosa si stia parlando, pensando contemporaneamente che sono cose superate e di poca utilità. Ma attenzione: non è vero tutto ciò in quanto noi stessi siamo immersi nella storia, ci piaccia o non ci piaccia.
Ogni nostra azione infatti, avviene nel piano temporale cosicché il mio presente diventa presto il passato,il mio futuro diventa il mio presente e lo stesso futuro sarà un giorno il mio passato. Siamo esseri storici e tutte le nostre azioni (dalla più banale alla più importante) sono eventi storici che si presentano sempre legati indissolubilmente ad una causa ed ad una conseguenza: non è possibile infatti scindere questa triade (causa-evento-conseguenza) che possiamo tranquillamente tradurre con passato-presente-futuro. Facciamo un caso banalissimo, relativo a questo articolo: io ho studiato storia (passato / causa) – sto scrivendo di storia (evento / presente) – qualcuno leggerà questo articolo (conseguenza / futuro). La triade c’è, ed è impossibile romperla perché anche se, per ipotesi, nessuno leggesse sul blog questo articolo, lo dovrò fare io stesso prima di pubblicarlo.
Ovviamente le azioni degli uomini non sono tutte uguali cosicché la firma di un Trattato di Pace sarà molto più importante dell’articolo che sto scrivendo, come anche l’elezione del Presidente Trump è stata molto più importante della nascita di un bambino in una qualsiasi parte del mondo avvenuta nello stesso giorno. Ogni fatto storico, inoltre, è sempre diverso dagli altri che, benché simili, possono avvenire nello stesso momento giacché ogni evento, oltre ad essere legato al piano storico è infatti condizionato a quello geografico: Trump è stato eletto in America, non in Brasile; io sto scrivendo da casa mia, a Segni, e non da Torino, distante chilometri e chilometri da me; Colombo partì alla volta dell’America da Palos (Spagna) e non da Lisbona (Portogallo), e così via. Ogni fatto propriamente storico pertanto, è legato indissolubilmente al tempo ed allo spazio, e la sua importanza è data dalle conseguenze che esso produce: più le conseguenze sono grandi, più l’evento è degno di essere riportato sui libri di storia. Si capisce dunque perché la storia abbia (e deve per forza avere) un andamento lineare, con un inizio e una fine, e non ciclico, cioè che tende a ripetersi, perché le azioni di ciascuno sono sempre diverse le une dalle altre.
Fatta questa premessa, necessaria per riflettere sul fatto che noi stessi siamo personaggi storici (benché spesso non ce ne accorgiamo, proiettati come siamo alle esigenze del presente), possiamo capire meglio cosa significhi il termine “Storia” (rigorosamente con la S maiuscola). Oggi, infatti, il termine Storia ha assunto diverse accezioni che non richiamano assolutamente il senso originario e proprio del termine: si usa per definire genericamente gli eventi passati (storia del XVII sec., etc); la ricostruzione soggettiva del proprio passato (la mia carriera/storia scolastica, etc); alcuni fatti ritenuti degni di nota (“non c’è stata più storia dopo il 3 gol”, etc) e così via.
Il termine Storia deriva dal greco ίστορίή (l’historia latina) che significa ricerca ma anche resoconto (di ciò che ho visto) e, quindi, sapere, meglio ancora, sapere perché ho visto. Lo troviamo usato per la prima volta nel V secolo, ad Atene, prima da Erodoto (484 a.C. – 425 a.C.), considerato infatti Padre della Storia, e poi da Tucidice (460 a.C. – 400 a.C.). Il termine non nasce immediatamente legato allo studio del passato ma, bensì, ha una valenza più ampia poiché è un metodo di ricerca del reale e, contemporaneamente, di conservare/trasmettere la memoria per poter meglio vivere: essa è pertantoricerca del vero che coinvolge, come termine, anche aspetti etici e morali. Quest’approccio ci porta ad indagare il come ed il perché delle cose, andando a ricercare pertanto sia le cause che i fini.
Tramite la Historía, quindi, si descrive e si interpreta un fatto concentrandosi sia sulle modalità che sulle cause: nasce, in questo modo, la differenza tra Storia ed Antiquaria (vale a dire la semplice trasmissione, o la messa per iscritto, di fatti senza alcun giudizio o indagine critica [1]); poiché propone dei modelli, inoltre, la storia educa ad una visione del mondo e ci fornisce dei comportamenti esemplari. Gli stessi Vangeli si situano nel solco di questa tradizione cosicché si può raccontare ciò che so perché ho visto (il Vangelo di Giovanni è pieno di attestazioni di questo genere da parte dell’Apostolo) oppure ciò che è frutto di un’attenta ricerca (si veda il Prologo del Vangelo di Luca) e che gli altri possono prendere come verità in quanto ciò che si è detto non è mai stato smentito.
Per Cicerone (106 a.C. – 43 a.C.) la Storia è «testimone del tempo, lume di verità, sopravvivenza della memoria, maestra di vita, messaggera del passato»[2]: la Storia è dunque utile anche per le future generazioni (la natura umana infatti è e sarà sempre la stessa) perché permette di conoscere, imparando, sia gli errori (da evitare in futuro) che le glorie (da tentare di ripetere). Si capisce dunque l’esclamazione diPlinio il Giovane (61 – 113) nei riguardi della Storia: «quanto potere, quanta dignità, quanta maestà, infine, quanta numinosità siano insite nella storia»[3].
Venendo ai nostri giorni, è molto bella l’immagine offerta dal filosofo francese Henri Bergson (1859 - 1941) il quale afferma che «in realtà, il passato si conserva da se stesso, automaticamente. Esso ci segue, tutt’intero, in ogni momento: ciò che abbiamo sentito, pensato, voluto sin dalla prima infanzia è là, chino sul presente che esso sta per assorbire in sé, incalzante alla porta della coscienza»[4] che possiamo mettere assieme ad un’altra bella definizione di Henri Irenée Marrou, il quale ci insegna che «la storia è l’incontro, il rapporto posto in essere dallo storico tra due piani di umanità: il passato vissuto dagli uomini di un tempo e il presente in cui si sviluppa tutto uno sforzo inteso a rievocare questo passato, perché ne tragga profitto l’uomo, cioè gli uomini che verranno»[5] in quanto «fine dello storico è proprio quello di guardare al passato con uno sguardo razionale, capace di impadronirsene, di comprenderlo e, in un certo senso, di spiegarlo: uno sguardo che noi non potremo mai gettare sul tempo presente»[6] (verità invece oggigiorno dimenticata o negata, protesi come siamo sulla cronaca e sulla cosiddetta Contemporaneità).
Ma è Giovannino Guareschi che, senza scrivere mai un testo di metodo storico, a mio parere, probabilmente ha scritto la più bella definizione del rapporto tra il passato ed il presente e, quindi, di come l’uomo si deve porre dinanzi alla storia ed ai propri antenati (conosciuti o sconosciuti poco importa). Il papà di Don Camillo sta narrando la cerimonia per l’annuale festa degli alberi ed il Sindaco Peppone, inizialmente restio a parlare in pubblico su questa festa, si lascia invece prendere da una riflessione profondissima, su un gesto semplice come la piantumazione di un alberetto, per di più compiuto da bambini: «gli alberelli che adesso voi bambini pianterete dentro la terra sono come il legame fra la morte e la vita: fra la vita che sta sopra e la morte che sta sotto. E se l'avvenire dell’albero e il suo progresso verso l'alto sono sopra la terra, le radici sono sotto la terra. E ciò significa che l'avvenire è alimentato dal passato»[7].
Guareschi fa terminare il discorso di Peppone con un’invettiva che facciamo nostra e che, ci auguriamo, possa servire anche a tutti i lettori del blog per capire l’importanza della Storia, rigorosamente con la S maiuscola: «guai a coloro che non coltivano il ricordo del passato: sono gente che seminano non sulla terra ma sul cemento»[8].
Francesco Del Giudice
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[1] «La narrazione di trasformò in storia, il giorno in cui la filosofia se ne impadronì per animarla, per dirigerla […] Gli uomini non potevano nulla contro il Destino, se non opporre a esso la loro intelligenza e la loro virtù. Saperevano che la fatalità avrebbe avuto l’ultima parola: ma, siccome era loro impossibile restare passivi e muti, si sforzavano di conquistare da qualche parte, all’interno del cerchio, un piccolo posto per la libertà. La storia è una manifestazione di questo sforzo […] I fatti sono legati da leggi permanenti e necessarie. Ma lo studio nel passato delle cause e degli effetti permette di prevedere l’avvenire. La storia è dunque un mezzo, anch’essa, per preparare un piccolo spazione alla libertà. Senza la filosofia, presso i greci la storia non sarebbe mai nata. Questi l’hanno trasmessa i romani»: Gonzague de Reynold, Gonzague de Reynolde raconte la Suisse et son histoire, Payot, Losanna 1965, p. 6, traduzione di Giovanni Cantoni.
[2] «Testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis»: Cicerone, De oratore, 2, 36.
[3] «Quanta potestas, quanta dignitas, quanta maiestas, quantum denique numen sit historiae»: Plinio il Giovane, Epistulae, 9, 27, 1.
[4] Henri Bergson, L’evoluzione creatice, Laterza, Bari 1957, p. 62.
[5] Henri Irenée Marrou, La conoscenza storica, Il Mulino, Bologna 1962, p. 33.
[6] Ibidem, p. 44.
[7] Giovannino Guareschi, Ricordando un vecchia maestra di campagna, Tutto Don Camillo, p. 2030.
[8] Ibidem.
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